Regione: Trentino Alto Adige.
Luogo: Dolomiti / Dolomiti di Gardena e di Fassa / Dolomiti di Fassa / Catena Bocche.
Partenza: Grande parcheggio (30 posti circa) all’inizio della Val dei Buoi, raggiungibile in auto percorrendo la Strada Statale 50 da Paneveggio in direzione del lago. A Paneveggio, subito dopo l’albergo “Bicocca” e prima di arrivare al lago, c’è una piccola curva che attraversa il Rio di Luisa dalla quale esce una stradina sterrata sulla destra, che porta al parcheggio (46°18’25.11″N 11°44’5.82″E).
Disponibilità di parcheggio: Media, Circa 30 posti.
Difficoltà percorso: Turistica.
Motivazioni: Naturalistiche / Storiche – Grande Guerra.
Quota massima: Forte Dossaccio, 1838 m.s.l.m.
Tempo percorrenza: 1h e 20 min. (sola andata).
Dislivello: 307 metri. (sola andata).
Ascesa: 313 metri. (sola andata).
Discesa: 6 metri. (sola andata).
Pendenza media: 6,9%.
Lunghezza percorso: 4,5km. (sola andata).
Neve/Ghiaccio: Nei periodi invernali e primaverili (dicembre-marzo).
Periodi consigliati: Inverno / Primavera / Estate / Autunno.
Ultimo sopraluogo: 05/06/2018
Traccia GPS percorso e punti principali
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Consigli: La passeggiata al Forte Dossaccio si adatta a qualsiasi periodo dell’anno, anche in quelle giornate dal meteo incerto, dato che l’intero percorso prevalentemente boschivo non offre particolari scorci panoramici. Il forte, durante gli ultimi sopraluoghi, è stato trovato chiuso al pubblico per lavori di ristrutturazione, iniziati nel 2016 e non ancora terminati.
Il percorso: L’itinerario inizia dalla strada forestale, chiusa al traffico da un’enorme sbarra sul ponte del Rio Val dei Buoi a quota 1525 m.s.l.m. (vedi punto su mappa 1).
Ponte Val dei Buoi, inizio itinerario.
Il primo breve tratto è quasi in piano, parallelo al rio fino ad un bivio posto su un’ampia curva (vedi punto su mappa 2):
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- Una stradina prosegue a destra, in direzione nord, con indicazioni Malga Bocche e Lago Bocche – Passo Lusia e Laghi;
- La stradina da prendere, con indicazione Ex Forte Dossaccio, è quella che sale sulla sinistra in direzione ovest, e oltrepassa di nuovo il Rio Val dei Buoi.
Si sale moderatamente all’interno del bellissimo bosco di abeti rossi del Monte Dossaccio, nella zona denominata “La Rovina” (vedi punto topografico su mappa) per 1 km circa, superata la quale si apre dinnanzi un grande campo erboso, battezzato “Carigole” (vedi punto topografico su mappa), unico luogo utile in cui poter sostare, e fornito di un rudimentale tavolo con alcune panche poste all’esterno di un capanno della forestale.
In questo sopraluogo, nella spianata Carigole vi trovai ad alpeggiare un gregge di pecore, con alcuni caravan campeggiati ai margini della stradina. Non certo un’occasione per fermarsi e rilassarsi un attimo: l’abbaiare di innumerevoli cani, il fracasso di centinaia di pecore, l’esuberanza di un gruppo di pastori intenti a cucinare e a consumare il pranzo, nel frattanto che stava minacciando di piovere, non ebbi così l’occasione di verificare meglio questo posto.
Capanna della forestale, unico luogo adeguato per la sosta.
Ci troviamo a quota 1679 m.s.l.m, e proseguendo oltre la stradina rientra nel bosco sempre di abeti rossi, fermandosi al bivio Passo Lusia – Bellamonte e Dossaccio (vedi punto su mappa 3):
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- Una stradina avanza dritta, scendendo in direzione ovest, porta al Passo Lusia;
- La stradina da prendere è quella che continua a salire sulla sinistra in direzione sud, con indicazioni Ex Forte Dossaccio e Bellamonte.
Il Bivio per il Passo Lusia – Bellamonte e Dossaccio
Non si fanno che altri 200 metri per fermarsi al bivio Forte Buso – Dossaccio (vedi punto su mappa 4).
La stradina per il Forte Buso, spiegata anche nella storia più sotto, era la stradina di collegamento tra i due forti, defilata e protetta dai bombardamenti italiani.
Al bivio due stradine sterrate proseguono verso sud parallele:
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- Una stradina scende dritta, direzione sud, porta al Forte Buso;
- La stradina da prendere, sale dritta in direzione sud, per il Forte Dossaccio.
Poco oltre il bivio, si trova un modesto cartello informativo che ci dà uno scorcio della storia del forte.
Da questo punto in poi la stradina si fa decisamente più ripida, e ad un certo punto sulla sinistra, si incontra una prima caverna, a quota 1680 m.s.l.m. scavata dagli austro-ungarici per proteggere, in caso di bombardamento italiano, i pezzi di medio calibro che difendevano il Passo Rolle e il Colbricon (vedi la storia più sotto).
Si prosegue per una ventina di metri, all’inizio di una curva vi è una seconda grotta, anch’essa scavata per la protezione dell’artiglieria.
Continuiamo a salire per il fitto bosco, la strada si fa più dura e la salita più implacabile, fino a trovare su di una larga curva, delle tracce di alcuni ruderi: fondamenta e muretti fatti di massi, inghiottiti dalla vegetazione e dal tempo, difficile dire se ruderi militari collegati alla storia della costruzione del forte, oppure di tutt’altra natura, utilizzati per la pastorizia o la caccia in altri tempi.
Ci lasciamo i ruderi alle spalle e riprendiamo la stradina, la quale ci porta ad attraversare un piccolo ponte, oltre al quale si continua nuovamente dentro al bosco per alcune centinaia di metri, poi un piccolo cartello informativo ci illustra brevemente le operazioni militari di Paneveggio.
Si superano gli ultimi due tornanti per giungere infine sulla sommità di questo monte e quindi al Forte Dossaccio 1838 m.s.l.m. (vedi punto su mappa 5).
Il Forte Dossaccio è stato edificato alla fine dell‘ 800 sull’omonimo monte, la cui sommità è stata artificialmente disboscata per la sua costruzione. E’ stato costruito in calcestruzzo, e parzialmente scavato sul porfido della roccia di questa montagna. Di fronte, a sud, si erge la lunga Catena dei Lagorai, mentre a est le aguzze e sempre bianche Pale di San Martino.
Prima della chiusura del forte al pubblico, negli anni addietro vi si poteva accedere tranquillamente, con le dovute cautele, ed esplorare gli ambienti interni che però erano lasciati al degrado; una lunghissima galleria stretta e buia usciva dal forte e si estendeva per qualche centinaio di metri a est. Questa galleria era visitabile con una torcia elettrica, ed era utilizzata durante la guerra come galleria di collegamento alle artiglierie posizionate nel bosco e nelle grotte. Sulla scarpata di fianco al forte vi si potevano recuperare numerosi reperti, quali: filo spinato, scatolette, bottoni, pallottole insomma una vera “miniera” a cielo aperto in cui trovarvi tante cose. Ora la scarpata è stata completamente ripulita, gli infissi rimessi a posto e hanno installato delle finestre.
In conclusione il percorso è di facile percorrenza. La pendenza è moderata e la strada ampia e comoda. Non vi sono strutture di ristoro disponibili e nemmeno fonti d’acqua potabile; l’unico punto adeguato alla sosta è il grande campo Carigole.
Flora: Bosco in prevalenza di Abeti rossi, ma si trovano tracce anche dell’abete bianco.
Fauna: In particolare il Gallo cedrone che in questa zona è stata eletta come sua riserva speciale, 5 specie di picchi, il capriolo, la lepre e la volpe.
La storia: Perché si decise di costruire il Forte Dossaccio nella Val Travignolo? Dopotutto, quando iniziarono i lavori per la sua costruzione, l’Impero Austro-ungarico e il Regno d’Italia erano in pace da ben 24 anni, ma non solo, molti furono i segni di distensione tra i due paesi, quali la firma dell’alleanza con l’Austria, e l’approvazione di quest’ultima alle conquiste coloniali italiane in Africa. Ma allora perché costruire un forte a protezione dei propri confini?
In questa parte vi racconterò la storia di questo forte e dei luoghi adiacenti ad esso. Una storia non solo incentrata negli avvenimenti della Grande Guerra, che lo vide “attore di second’ordine”, ma anche in quelle vicende risorgimentali, poiché le motivazioni che spinsero alla costruzione di questo e di altri forti hanno origini più in là nel tempo.
Dobbiamo innanzitutto partire col raccontare brevemente l’ultima parte del risorgimento italiano, più specificatamente la Terza Guerra di indipendenza italiana, iniziata e conclusa in un paio di mesi nell’estate del 1866. Questa guerra vide infatti contrapporsi l’alleanza della Francia e il Regno d’Italia, contro l’impero d’Austria.
L’Austria, con il Congresso di Vienna alla fine delle guerre napoleoniche, aveva ottenuto vasti e ricchi territori nella penisola, quali la Lombardia, il Veneto, il trentino e il Friuli. Per quasi vent’anni quindi il Regno sabaudo e l’impero si scontrarono per la conquista e il possesso di queste terre. L’ultima di queste guerre, arrivò ad un passo dal conquistare la regione del trentino. Infatti li, le truppe guidate dal Generale Giacomo Medici (un garibaldino), riuscirono a penetrare lungo tutta la Valsugana, ed arrivare fino alle porte di Trento. Tutto questo però si concluse bruscamente con la firma dell’armistizio di Cormons (località vicino a Gorizia), nel quale si ordinava il ritiro immediato delle truppe italiane dal trentino. Questo armistizio fu voluto soprattutto da Napoleone III, il nostro alleato francese, perché temeva un Regno d’Italia troppo forte e non più dipendente da lui, soprattutto per quanto riguardava la città di Roma, la protetta di Napoleone III ma ancora in mano al papa e ambita dallo stesso Regno d’Italia. Con la pace di Vienna, che si concluse un paio di mesi dopo, si ribadì il mantenimento del trentino all’Impero d’Austria, mentre il Veneto e il Friuli vennero ceduti alla Francia, che a sua volta li passò al Regno d’Italia.
Dopo la guerra quindi, il Comando di Stato Maggiore austro-ungarico, si preoccupò seriamente della difesa dei propri confini alpini, avendo visto la facilità con cui le truppe italiane sbaragliarono quelle austriache e arrivarono fino al cuore della regione, a Trento.
Pianificarono quindi una linea difensiva che, in questo settore sarebbe passata per la Val del Travignolo. Ma perché proprio qui? Il confine con il Regno d’Italia era ancora molto distante, e ciò avrebbe comportato l’abbandono al nemico di molto terreno, in caso di attacco italiano. L’alternativa era la difesa in una posizione più avanzata, cioè sulla Valle del Cismon, ma questa ipotesi venne scartata dai generali, perché quella valle troppo ampia e troppo estesa, era difficilmente difendibile, in quanto gli italiani più numerosi degli austroungarici, avrebbero fatto pesare la loro superiorità numerica. I comandanti quindi decisero di predisporre le loro fortificazioni, da subito in posizioni più difendibili, dove con poca truppa avrebbero controllato vaste aree e tenuto a bada gli attacchi italiani. Ecco perché la Val del Travignolo, una valle molto più stretta della Valle del Cismon, più vicina alle linee di rifornimento austriache (Predazzo), difesa inoltre da imponenti catene (Bocche e Lagorai-Colbricon) che superano i 2700 metri.
Decisa la valle da tenere a tutti i costi, perché su di essa gravava l’intera tenuta della Val di Fiemme e di Fassa, bisognava ora capire da dove gli italiani avrebbero potuto attaccarla e quindi dove sarebbe stato meglio posizionare le difese e in cosa sarebbero costituite.
A fine 800 la concezione della guerra era rimasta ancora quella delle battaglie vinte a cariche di cavalleria, dei corazzieri, dei fanti con le fanfara in testa… non si aveva ancora la piena consapevolezza del progresso tecnologico che la mitragliatrice e l’artiglieria aveva portato. La decisione fu scontata, come nell’800 per difendere una zona si costruisce un fortino di stanza, anzi meglio due così si sarebbero difesi a vicenda.
Per passare gli italiani avrebbero dovuto, per forza di cose, superare i Passi di Rolle e di Colbricon o eventualmente il Passo di Valles, per penetrare lungo la Val Travignolo (all’epoca non esisteva il lago, poiché frutto della diga costruita nel 1953) e poi proseguire su Predazzo. I due forti, con la loro dotazione di artiglieria dovevano difendere questi tre passi, e furono collocati nella miglior posizione possibile, ossia nel restringimento della valle, appunto sul Buso e sul Monte Dossaccio, in maniera da renderne più difficile un loro eventuale assalto.
Deciso il luogo, iniziarono i lavori di costruzione nel luglio del 1890, con la realizzazione dapprima dell’attuale strada fino alla sommità del monte, e poi con la costruzione del forte vero e proprio, che venne parzialmente scavato sulla roccia affiorante dal monte stesso, per aumentarne la resistenza.
Ci misero 11 anni per terminarlo, e quando fu completato era già considerato obsoleto, poiché le più recenti artiglierie lo avrebbero facilmente messo fuori combattimento. Venne quindi utilizzato come magazzino, e le sue artiglierie vennero smontate tutte, perfino le cupole in acciaio che vennero sostituite con copie in calcestruzzo per ingannare il nemico. Le artiglierie vennero quindi spostate in posizioni più strategiche e meno individuabili, ossia nel bosco così pure le cupole. Dal bosco i pezzi di medio e grosso calibro, contribuiranno poi alla difesa dei passi, come spiegato meglio più avanti.
L’altro forte, il Buso, venne edificato più sotto e collegato al Dossaccio da una stradina protetta che passava a nord del monte. Venne ultimato 6 anni prima e anche questo forte contribuì alla difesa della valle nel 1915-16.
La guerra in questi luoghi arriverà nel luglio del 1915, con tutta la sua violenza. Gli austriaci, grazie ai temporeggiamenti dei generali italiani, riuscirono a trincerarsi subito sul Cavalazza, una montagna strategica, dalla quale si poteva controllare sia il Passo di Colbricon che il Passo Rolle.
Gli Italiani optarono quindi per l’assalto dal Passo di Valles, considerato il più facile da prendere tra quello di Rolle e di Colbricon, molto più insidiosi per via del fuoco di sbarramento proveniente anche dalle artiglierie del Dossaccio e del Buso.
Nel luglio del 1915 con una serie di attacchi sui laghi sopra a Lusia, gli italiani tentarono inutilmente di prendere le posizioni nemiche, ben fortificate in Cima Bocche, e alla fine conquistarono la vicina Cima Juribrutto.
La cima bocche è una roccaforte naturale, difficilissima da conquistare a furia di assalti. Si trova ad un’altezza che va dagli oltre 2700 metri ai 2500, interamente composta da roccia con poche e insidiose vie per accedervi. Tutta la sommità e fin sotto era stata trincerata molto bene dagli austroungarici, e il campo di tiro che avevano era formidabile.
Intanto, però passando per la Val Venegia, gli italiani presero il Castellazzo, un monte importante che consentiva di minacciare alle spalle gli austriaci arroccati nel Cavalazza. Gli austroungarici dovettero così abbandonare il Cavalazza agli italiani ed arretrare sul più difendibile Colbricon.
Sia su Cima Bocche che sul Colbricon, sfilze di fallimentari attacchi scemarono miseramente al costo di moltissime vite per tutta l’estate e l’autunno del 1915.
Uno stallo si ebbe solo al sopraggiungere dell’inverno, il quale diede tempo ai comandanti italiani di pianificare una nuova strategia, molto più subdola e devastante: stavano progettando infatti la guerra delle minee che per tutto il successivo 1916 vedrà in diversi punti del fronte, la creazione sia da parte italiana, ma anche da parte austroungarica, di tunnel sotterranei da far saltare con grosse minee fin sotto le posizioni nemiche. Le più famose di questo fronte sono senz’altro la mina del Lagazuoi e la mina del Col di Lana.
Il fronte rimase quindi pressoché invariato fino all’ottobre del 1917, quando l’assalto austro-tedesco a Caporetto, diede via ad una generale ritirata di tutto l’esercito italiano sulla nuova linea difensiva del Grappa-Piave. Gli italiani non torneranno più su questi luoghi, se non a guerra conclusa.
Stato su sabato scorso grande delusione dopo il restauro già di se orribile, l interno del forte è totalmente
inaccessibile gran peccato sono tornato a casa sconfortato ricordando quanto era bello girare l interno e
pensando che questa esperienza ora è negata.
Grazie del commento Alberto. Volevo sapere se l’esterno è ancora recintato, oppure hanno tolto tutto.
ATTENZIONE: Si segnala chiusura del sentiero per il forte, a causa del forte maltempo che colpì la zona ad ottobre 2018. Stanno eseguendo i lavori di ripristino, l’accesso è interdetto. Ultima verifica effettuata il 10 Settembre 2019. Per maggiori informazioni contattare il Centro Visitatori di Paneveggio al 0462 576283