Regione: Trentino Alto Adige.
Luogo: Prealpi Venete / Prealpi Vicentine / Gruppo degli Altipiani / Altopiano dei Sette Comuni.
Partenza: Parcheggio (40 posti) al Rifugio Vezzena a 1428 m.s.l.m, situato sull’omonimo passo e raggiungibile da Asiago, prendendo la Provinciale 349 per Camporovere, la quale attraversa tutta la Val d’Assa, giungendo all’Altipiano di Vezzena e al passo (45°57’26.49″N 11°19’39.98″E).
Disponibilità di parcheggio: Alta, circa 40/60 posti anche lungo la provinciale; estremamente affollato in stagione (luglio-agosto).
Difficoltà percorso: Escursionistica.
Motivazioni: Panoramiche / Storiche – Grande Guerra.
Quota massima: Forte Vezzena a 1908 m.s.l.m.
Tempo percorrenza: 1h e 40 m. (sola andata).
Dislivello: 490 metri. (sola andata).
Ascesa: 509 metri. (sola andata).
Pendenza media: 7,3%
Lunghezza percorso: 6,7 km. (sola andata).
Neve/Ghiaccio: Solitamente nel periodo invernale (dicembre-gennaio).
Periodo consigliato: Estate.
Ultimo sopraluogo: 08/07/2018
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Consigli: Si suggerisce l’escursione al Forte Vezzena nel periodo estivo, preferibilmente in giornate terse, poiché il panorama che esibisce spazia a 360°; impressionante su tutto è il dislivello di 1300 metri sulla Val Sugana sottostante.
Questo itinerario è apprezzato, grazie alla sua moderatezza, non solo da escursionisti ma anche da ciclisti; bisogna però tener conto della sua estensione, ben 6,7 km sola andata.
Sebbene non manchino posti ove poter parcheggiare, volendo anche ai margini della provinciale stessa, se si arriva troppo tardi, a mattina inoltrata si incorre nel rischio di non trovar posto, specialmente in stagione (luglio-agosto); il territorio dei Sette Comuni è difatti molto affollato da turisti, escursionisti, ciclisti e fungaioli, nonché centro importante per le vicissitudini storiche legate alla Grande Guerra, culturali e gastronomiche infine.
Il percorso: Si parte nei pressi del Rifugio Vezzena a 1428 m.s.l.m. (vedi punto su mappa 1) e ci si incammina per la strada asfaltata, superando il ristorante Baita al Verle e la Chiesetta di San Giovanni Battista. Questo tratto di stradina è in leggera pendenza, ben curata e serpeggia per 800 metri sui prati a pascolo dell’altipiano, dove sono visibili ancora le tracce delle trincee che costituivano le prime linee difensive austroungariche. Più che altro dei flebili solchi tra i pascoli del Vezzena, che corrono per chilometri, sebbene recuperati in parte, comunque degradati dal tempo.
Penetrando nei pascoli, la stradina fa una curva e passa vicino a un piccolo e isolato boschetto di abeti, dove defilato troviamo il Forte Busa Verle (10-15 minuti) (vedi punto su mappa 2).
L’accesso al forte per motivi di sicurezza è interdetto, ma lo si può comunque osservare dal piazzale esterno: Il forte si sviluppa in lunghezza, su due piani in calcestruzzo rinforzato.
Sebbene pesantemente colpito dall’artiglieria, i segni dell’attuale degrado strutturale sono dovuti all’attività di recupero metalli avvenuta in epoca fascista.
Il forte fu reso quasi subito inutilizzabile dall’artiglieria italiana, già nei primi giorni dall’inizio del conflitto. Qui in questa piana, alle ore 4 del mattino del 24 maggio 1915 ebbe luogo il primo colpo di cannone della storia di questa guerra, che fu sparato dall’italiano Forte Verena.
Dopo aver assaporato un po’ di storia, continuiamo la nostra gita e lasciamo il forte rientrando sulla strada principale. Superiamo subito la vicina Malga Cima Verle (vedi punto su mappa 3), e incrociamo un sentierino che taglia una buona parte di alpeggio. È solo una breve scorciatoia, ma perché prenderla? La stradina principale è così comoda, quindi ignoriamo questa deviazione.
La strada principale, ci porta a passare tra il fianco del bosco e i pascoli, incrociando una ramificazione dalla quale seguitiamo sempre per la nostra via che avanza dritta.
Arriviamo ad una larga curva a gomito, dalla quale esce sulla sinistra un sentierino segnavia 205 con indicazioni per il Forte Vezzena (vedi punto su mappa 6). È una scorciatoia, e sale ripidamente dentro il bosco del Vezzena, lo ignoriamo e proseguiamo sulla nostra strada.
Si entra nel bosco di abeti rossi e saliamo con moderatezza per 1km, prestando attenzione al via vai di ciclisti che assiduamente frequentano questa strada. Passiamo oltre alla deviazione che scende alla Malga Marciai di sotto (vedi punto su mappa 7) arriviamo quindi all’inizio della strada militare del forte, chiusa da una sbarra (vedi punto su mappa 8).
A questo punto ci troviamo a quota 1595 m.s.l.m. e abbandoniamo quindi la stradina asfaltata che comodamente ci ha portato fino a qui, per prendere quella militare dal fondo sassoso.
Con inclinazione costante saliamo all’interno del Bosco di Varagna composto in prevalenza da abeti rossi. Questo bosco fu da riparo agli Alpini e alla Brigata Ivrea, durante la Battaglia del Col Basson (vedi storia sotto).
A circa ¾ del percorso totale, a quota 1675 m.s.l.m. troviamo una panchina, sosta ideale e meritata per chi volesse riposare un’istante.
Proseguendo oltre, incurviamo a ovest fino al primo tornante che impartisce alla stradina una maggiore ripidità. A un secondo tornante invece è posto il cippo in marmo a memoria del milite italiano e medaglia al valore Soini Mario, ucciso durante il contrattacco al forte Marcai di sopra il 20 maggio del 1916. Soltanto uno dei tanti fanti disgraziatamente periti, il cippo è stato voluto dai suoi concittadini di Ala (TN) i quali hanno anche dedicato una via al paese.
Visitato il cippo, si riprende ad avanzare con meno pendenza questa volta, mentre il bosco comincia pian piano a diradarsi, lasciando spazio alla vista sull’altipiano che ci siamo lasciati alle spalle. In cresta, il bosco è scomparso ormai del tutto e il sentierino 205 che sale dall’altipiano (dal punto su mappa 6) si ricongiunge in questo punto, nei pressi del Pizzotto (vedi punto su mappa 9).
Nelle soleggiate giornate estive, questo tratto di stradina totalmente esposto può dar problemi alla vista: l’accecante luce del sole si riflette sul bianco dei sassi, meglio munirsi di occhiali da sole e crema protettiva. L’ultima salita per arrivare alla cima è la più ripida, ma anche la più bella perché fiancheggia la cresta del Pizzo di Levico, regalando spettacolari viste sia sull’altipiano che sulla Val Sugana. Negli ultimi tratti si incontrano alcune tracce di baraccamenti, e diverse targhe a ricordo di alpinisti locali periti in vari anni.
Ecco una serie di fotografie dalla terrazza panoramica dell’Ex Forte Vezzena.
Si termina in fine al Forte Vezzena, posto sulla Cima di Vezzena o Pizzo di Levico, a 1908 m.s.l.m. (vedi punto su mappa 10).
Ecco come si presenta l’interno del Forte Vezzena.
Dall’altra parte del forte si sale alla sommità del Pizzo di Levico, dov’è stata collocata una croce in acciaio.
Il Forte: Il Forte Vezzena sorge sulla sommità dell’omonima cima, conosciuta anche con il nome di Pizzo di Levico, a 1908 m.s.l.m. Il panorama da questa cima è veramente spettacolare a 360°, difficilmente se ne trovano così profondi in tutto il Veneto: a nord-ovest si ammira la parte terminale della Val Sugana con i laghi di Caldonazzo e di Levico, ai piedi dei quali stanno i paesi di Levico Terme e Caldonazzo; in fondo, da un dislivello di oltre 1300 metri si ammira tutta l’alta Val Sugana, mentre dritto (a nord) si erge la Catena Monte Croce-Sette Selle.
L’accesso al forte è interdetto da cartelli di divieto per motivi di sicurezza, tuttavia non ci sono recinzioni, l’esplorazione interna è a vostro rischio. È solidamente costruito con spesse mura in calcestruzzo e roccia, in tre piani. Ha resistito ai cannoneggiamenti dei grossi calibri italiani, che hanno fatto crollare il secondo piano e danneggiato il primo, rendendoli inutilizzabili già all’inizio del conflitto, ragion per cui se ne scavò uno sotto il livello del suolo (vedi storia sotto). Sulle facciate si possono notare delle staffe in ferro che escono un po’ dappertutto dalla parete, erano le staffe delle stufe. Il tetto del forte è interrato dalla roccia del monte stesso, sulla quale è stata installata un’enorme croce in ferro.
In conclusione: Il percorso non presenta particolari difficoltà escursionistiche; è da tener presente se si fa la via lunga, come descritta in questa recensione, l’estensione di ben 6,7 km in sola andata. La pendenza è moderata, e in alcuni tratti ripida come nell’ultima parte di salita; la stradina è modestamente ampia e asfaltata all’inizio, poi quando si prende quella militare si fa più stretta e dal fondo sassoso.
Le strutture di ristoro disponibili sono il Rifugio Vezzena, il Ristorante Baita al Verle, la Malga Cima Verle all’inizio, e le due malghe Marcai in seguito; non sono presenti fonti d’acqua potabile lungo la stradina.
La storia: La piana del Vezzena faceva parte della Federazione dei Sette Comuni, una nazione indipendente sorta nel 1310 e sciolta nel 1807 per volere di Napoleone. Rimase parte della federazione fino al 1605 quando venne annessa al territorio del Trentino, e successivamente al Regno d’Italia, diventando così il confine con l’impero Austro-Ungarico.
All’inizio del conflitto, l’Impero Austroungarico era arroccato ai limiti settentrionali del settore degli Altipiani, un’area che comprendeva l’attuale Folgaria e Lavarone, e aveva preventivamente disposto fortificazioni difensive nei punti nevralgici, a difesa della Val Sugana ma soprattutto di Trento. Due furono i gruppi principali che costituivano lo sbarramento Folgaria-Lavarone:
- Gruppo Folgaria (Vielgereuth) era composto principalmente da 3 forti:
Forte Dosso Sommo;
Forte Sommo Alto;
Forte San Sebastiano. - Gruppo Lavarone (Lafraun) era composto da 4 forti, un osservatorio e un centro di comando:
Forte Belvedere;
Forte Campo Luserna;
Forte Verle;
Forte Vezzena;
Osservatorio del Monte Rust;
Centro di comando di Virti.
Oltre a queste principali fortificazioni, innumerevoli sono anche le trincee difese da chilometri di filo spinato. Nella piana del Vezzena inoltre una difesa formidabile era costituita anche dal Basson, una collina interamente scavata al suo interno e piena di mitragliatrici.
In questo settore vi era posto a comando, da prima che scoppiasse la guerra, il neo promosso colonello austroungarico del genio militare Otto Ellison von Nidlef che seguì dall’inizio le opere di difesa e di sbarramento tra il Lago di Garda, il Pasubio e Riva.
In contrapposizione vi era il vicino Forte italiano Verena e il più lontano Campolongo, mentre come fanteria era stata inviata il 115° reggimento Treviso, comandato dal Colonello Rivieri; la Brigata Ivrea e gli alpini di Val Brenta e Mezza Costa.
Già nella notte del 24 maggio 1915, iniziò da parte italiana il primo cannoneggiamento sulle posizioni nemiche. Alle ore 4 circa del mattino, partì il primo colpo d’artiglieria di tutta la guerra, sparato dal Forte Verena. Seguì quindi il fuoco di supporto dagli altri forti italiani più distanti, e delle artiglierie defilate nei boschi vicini. Furono seriamente danneggiati e resi inutilizzabili i forti austroungarici più esposti, ossia il Verle e il Luserna, mentre le posizioni del Col Basson rimasero intatte. Gli austriaci preventivamente avevano spostato il grosso della guarnigione dietro al Passo Vezzena, lontano dal fuoco dell’artiglieria italiana e riportarono con ciò pochissime perdite.
Era chiaro che quel forte italiano sul Monte Verena che fin da subito ha iniziato a sparare, era una seria minaccia per le difese austroungariche del Vezzena, così si decise di metterlo fuori gioco e si pianificò un contrattacco d’artiglieria. Vennero posizionati dei grossi obici da 305 sul Monte Costalta e da lì uno di questi il 12 giugno, (20 giorni dall’inizio delle ostilità) centrò in pieno con una granata la polveriera del Forte Verena, facendo una strage della guarnigione e rendendo inutilizzabile per sempre il forte stesso.
Ma come mai una sola granata riuscì a distruggere il Forte Verena? Come mai i bombardamenti italiani sui forti austroungarici invece ci misero molto di più? Beh tutto sta nella diversa costruzione dei forti stessi, gli austroungarici da tempo si erano premuniti di costruirne lungo i confini con il Regno d’Italia, quindi hanno avuto più tempo per realizzarli; quelli italiani invece si son dovuti fare in gran fretta, e per quanto riguarda quello del Verena, la ditta che vinse l’appalto dal Regio Esercito, per garantire migliori tempi di realizzazione, aveva risparmiato sulle modalità di costruzione omettendo l’armatura del calcestruzzo, e facendo si che in questo modo una granata di grosso calibro che avrebbe colpito il forte, poteva affondare come un coltello nel burro all’interno della struttura. Dopo questa tragedia, un’inchiesta fu avviata e la ditta condannata.
Per sperare di passare, gli italiani avrebbero dovuto prima conquistare il Col Basson che era carico di mitragliatrici, così pianificarono il primo assalto. Alle ore 3 del 15 agosto tutte le batterie italiane, supportate da altri grossi calibri fatti arrivare appositamente, aprirono il fuoco sul Vezzena e sul Basson per circa 10 giorni. Le guarnigioni austroungariche furono quindi le prime a sperimentare quella tremenda esperienza del bombardamento ad oltranza. L’ufficiale austriaco Friz Weber, che si trovava in quel momento sul Forte Busa Verle lasciò per iscritta la sua testimonianza di quei giorni: Ogni scoppio ha su di noi l’effetto di un poderoso pugno in testa, il sangue esce dalle orecchie, le ore passate nell’osservatorio servono ad espiare tutti i peccati che un uomo normale può commettere durante tutta la vita.
L’attacco con la fanteria iniziò alle ore 23 del 24 agosto, dalla Brigata Ivrea e dagli alpini, che però venne subito annullato per l’intensa e inaspettata risposta nemica. I superstiti ripiegarono in fretta e furia sul Bosco di Varagna.
Frattanto un tale Guarneri, trombettiere del reggimento, diede il segnale al 115° fanteria di attaccare. Gli austroungarici risposero prontamente col fuoco delle mitragliatrici e dell’artiglierie superstiti dei forti e del Passo Vezzena. Con incredibile coraggio, gli uomini di Riveri riuscirono a travolgere le prime linee di difesa, ma furono poi respinti dai Landsturm guidati dal Capitano Bauer, forti dell’esperienza accumulata nel fronte russo. Fu un vero massacro, in pochi sopravvissero, e per quelli che dovevano ritirarsi, si trovarono a dover superare il labirinto di filo spinato che si erano lasciati alle spalle durante l’assalto.
Il sergente Ernesto Farina scriverà nel suo diario: le notizie della battaglia in corso sono buone, il Vezzena pare sia stato occupato, quello di Busa Verle anche sorpassato, il Luserna accerchiato
Alle 10 annoterà di nuovo: mi viene riferito che il 115° è quasi annientato, tutti gli ufficiali fuori combattimento.
Le ostilità al Vezzena continuarono ancora nei mesi seguenti, anche se meno cruente e senza cambiamenti significativi. Nel 1936 venne eretto sul Col Basson da parte dei superstiti della 115° brigata di fanteria, un cippo commemorativo ai compagni caduti in quella battaglia che recita quanto segue: nella notte del 24 agosto 1915 i Fanti del 115° Treviso tentando con pertinace impeto la via di Trento su questo colle votarono vita e sangue alla Vittoria redentrice Caduti: Ufficiali 48 Fanti e Graduati 1046.
L’eroica 115° Brigata Treviso: Fu costituita a marzo del 1915 e dislocata tra Marostica e Bassano, sotto la 34°divisione di fanteria.
Il battesimo del fuoco avvenne il 3 giugno, quando si scontrarono contro le trincee dell’altipiano di Asiago-Passo Vezzena. Dopo il catastrofico attacco al Basson, la brigata operò nel settore fino a dicembre 1915 con piccole pattuglie e lavori di rafforzamento delle linee difensive.
A gennaio 1916 venne trasferita nel settore Oslavia, per contrastare la testa di ponte nemica che proteggeva Gorizia. Durante la VI battaglia dell’Isonzo, i fanti riusciranno a sfondare le linee avversarie e il 9 agosto 1916 poterono inoltrarsi a Gorizia. Continuerà a operare nel settore senza particolari conquiste, per poi scendere il 2 gennaio 1917 nelle retrovie, sostituita dalla Brigata Messina. Continuerà una serie di conquiste e perdite di terreno alternanti, fino alla XII Battaglia dell’Isonzo, quando il nemico sfondò le difese a Caporetto. L’Ivrea alle dipendenze del XXIV° Corpo d’Armata iniziò il ripiegamento su Auzza e sul torrente Torre, per raggiungere poi la 13° Divisione di fanteria al Piave.
La brigata fu sciolta l’11 novembre 1917 per le forti perdite subite, ma verrà ricostituita tempo dopo a Recoaro il 28 febbraio 1918. Tornerà quindi a operare in montagna, a Vallarsa con compiti di guardia e di pattugliamento. Conquisterà diverse trincee nemiche, e supererà un violento contrattacco nemico con estrema eroicità. Con la Battaglia di Vittorio Veneto, la Brigata Ivrea raggiunge il Monte Bedenecche, penetra nella Val Sugana e arriverà il 4 novembre 1918 a Roncegno.
Il Forte Busa Verle 1504 m.s.l.m. faceva parte delle sette fortificazioni dello sbarramento Lavarone-Folgaria. Costruito tra il 1907 e il 1914 in posizione strategica, venne pesantemente bombardato dall’esercito italiano, tanto che ancora oggi è possibile vedere i crateri causati dalle granate. Dopo la Strafexpedition del 1916 fu in parte ricostruito. Nel periodo fascista venne ulteriormente danneggiato per il recupero dell’acciaio. Era armato di 4 obici da 100mm su cupole girevoli, 4 cannoni da 60mm e 2 da 80mm oltre che da 15 mitragliatrici. La guarnigione era composta da 200 artiglieri e 100 fanti sotto il commando inizialmente del tenente Giebermann e successivamente del sottotenente Julius Papak.
Il forte Vezzena, conosciuto anche come Spiz di Levico o Spiz Verle, 1908 m.s.l.m. chiamato anche “l’occhio degli altipiani” fu edificato tra il 1910 e il 1914, per l’importante funzione di osservatorio. Si sviluppava in tre piani, che vennero però resi inutilizzabili dall’artiglieria italiana durante il primo anno di guerra. Furono così scavati sotto la roccia gli alloggiamenti della guarnigione. Gli italiani cercarono invano di espugnarlo più volte tra il 1915 e il 1916. Venne riparato dai danni subito dopo l’offensiva austriaca del 1916. L’attuale stato di rovina del forte è dovuto dal recupero dei materiali ferrosi nel periodo fascista. Era difeso da 5 mitragliatrici Schwarzlose da 8 mm M7/12 in due casematte corrazzate. Non era dotato di artiglieria poiché lo scopo principale del forte era di osservazione e coordinamento dell’artiglieria limitrofa dei forti austriaci, tuttavia nell’estate del 1916 fu installato all’esterno un cannone da 75mm usato anche in funzione antiaerea. Una fitta rete di reticolati completava poi la difesa esterna. La guarnigione del forte Vezzena era composta da 60 Standschützen comandati dal sottotenente Konrad Schwarz.